Diniego del visto
La domanda del visto è stata respinta?
Contro quelle che considera illegittime motivazioni di diniego al rilascio del visto, lo straniero può opporre ricorso al Tar del Lazio per difetto di motivazione ai sensi della legge 241/1990 entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento
Servizi per Migranti Roma svolge il servizio di assistenza per il corso contro il diniego del visto.
La materia è normativamente regolata dall’art.art. 32 del Reg. CE del 13.07.2009, n. 810/2009 (Codice Comunitario dei visti), che individua tassativamente i casi in cui il visto è rifiutato.
In particolare, ciò avviene quando il richiedente:
- non fornisce la giustificazione riguardo allo scopo e alle condizioni del soggiorno previsto;
- non dimostra di disporre di mezzi di sussistenza sufficienti, sia per la durata prevista del soggiorno sia per il ritorno nel paese di origine o di residenza oppure per il transito verso un paese terzo nel quale la sua ammissione è garantita, ovvero non è in grado di ottenere legalmente detti mezzi;
- abbia già soggiornato per 90 giorni nell’arco del periodo di 180 giorni in corso, sul territorio degli Stati membri in virtù di un visto uniforme o di un visto con validità territoriale limitata;
- è segnalato nel SIS al fine della non ammissione;
- presenta un documento di viaggio falso, contraffatto o alterato;
- non dimostra di possedere un’adeguata e valida assicurazione sanitaria di viaggio, ove applicabile (lett. a); oppure, qualora vi siano ragionevoli dubbi sull’autenticità dei documenti giustificativi presentati dal richiedente o sulla veridicità del loro contenuto, sull’affidabilità delle dichiarazioni fatte dal richiedente o sulla sua intenzione di lasciare il territorio degli Stati membri prima della scadenza del visto richiesto (lett.b).
- sia considerato una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna o la salute pubblica, quale definita all’articolo 2, paragrafo 19, del codice frontiere Schengen, o per le relazioni internazionali di uno degli Stati membri e, in particolare, sia segnalato nelle banche dati nazionali degli Stati membri ai fini della non ammissione per gli stessi motivi.
Il visto è un’autorizzazione concessa allo straniero per l’ingresso nel territorio della Repubblica italiana da valutarsi alla luce di esigenze connesse con il buon andamento delle relazioni internazionali e con la tutela della sicurezza nazionale e dell’ordine pubblico.
Per tale motivo l’ottenimento del visto non costituisce un diritto soggettivo per gli stranieri richiedenti, ma un semplice interesse legittimo, con la conseguenza che, come sempre più spesso accade, le rappresentanze diplomatiche italiane neghino immotivatamente il visto di ingresso, all’esito di una valutazione della documentazione offerta dal richiedente spesso parziale, inadeguata e palesemente generica.
IL RISCHIO MIGRATORIO
Tra i motivi di diniego più utilizzati dalle rappresentanze consolari vi è senza dubbio quello relativo al c.d. rischio migratorio.
In questo caso gli uffici consolari procedono con il diniego per il timore che lo straniero faccia ingresso in Italia senza fare ritorno nel proprio Paese alla scadenza del visto stesso.
Da qui la necessità per il richiedente di dimostrare, sia in fase di richiesta del visto, che eventualmente nella successiva fase di impugnazione del diniego, la temporaneità dell’interesse a soggiornare in Italia e che questo sia circoscritto al breve periodo per cui è stata fatta la richiesta.
In altre parole, il richiedente straniero è tenuto a dimostrare che il centro di interessi delle proprie attività e delle proprie relazioni sia il proprio Paese d’origine e che non vi sia alcun motivo per ritenere che egli intenda stabilirsi clandestinamente in Italia.
Per questo motivo, il paragrafo 7.12 della decisione della Commissione UE del 19.3.2010 individua i seguenti indici individuali di stabilità, che dovrebbero far desumere l’intenzione del soggetto di far rientro nello Stato di provenienza alla scadenza del visto per l’Italia:
- La sussistenza, in capo del richiedente il visto, di vincoli familiari o altri legami personali nel paese di residenza;
- vincoli familiari o altri legami personali negli Stati membri; lo stato civile;
- la situazione lavorativa (livello salariale, se lavoratore dipendente);
- la regolarità delle entrate (lavoro dipendente, lavoro autonomo, pensione, redditi da investimenti, ecc.) del richiedente o del coniuge, dei figli o delle persone a carico;
- il livello del reddito;
- lo status sociale nel paese di residenza (ad esempio eletto a una carica pubblica, rappresentante di una ONG, professione di alto status sociale come avvocato, medico, docente universitario);
- il possesso di una casa o di un bene immobile.
Il medesimo paragrafo specifica anche questi ulteriori aspetti da verificare:
- Precedenti soggiorni irregolari negli Stati membri;
- precedenti abusi del sistema di sicurezza sociale degli Stati membri;
- successione di varie domande di visto (per soggiorni di breve o di lunga durata) presentate per scopi diversi e senza rapporto fra di loro;
- credibilità del soggetto ospitante, quando viene presentata una lettera d’invito.
Il Tar Lazio, in merito alla rilevanza dei suddetti indici, specifica poi che “le valutazioni in materia di rilascio dei visti non si accentrano principalmente sulla situazione socio-economica dell’invitante bensì, in modo più pregnante, sull’interesse del cittadino straniero a rientrare in patria alla scadenza del visto, da testare sulla base dei legami economici, lavorativi e familiari con il paese di origine…” (Così, tra le tante, TAR LAZIO – Sez. III^ TER n. 11336/2014).
IL RICORSO AL TAR DEL LAZIO: I MOTIVI DI IMPUGNAZIONE
Contro quelle che considera illegittime motivazioni di diniego al rilascio del visto, lo straniero può opporre ricorso al Tar del Lazio per difetto di motivazione ai sensi della legge 241/1990 entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento
L’interessato ad impugnare il provvedimento di diniego del visto può addurre uno dei seguenti motivi di gravame:
– inadeguatezza della motivazione che, per la sua genericità, “non consente di ricostruire l’iter logico-giuridico seguito dall’amministrazione ai fini della decisione”;
– difetto di istruttoria, ovvero mancanza del preavviso di rigetto;
– divergenza tra le ragioni di rifiuto del visto rassegnate e rappresentate all’interessato con la comunicazione di cui all’art. 10 bis (preavviso di rigetto) con quelle indicate nel provvedimento finale di rigetto. Le nuove motivazioni di diniego, rappresentate per la prima volta solo nel provvedimento finale, viziano infatti l’atto conclusivo del procedimento, in quanto privano l’istante della garanzia partecipativa al procedimento amministrativo
Recentemente il Tar del Lazio, con la sentenza n. 623/2017, ha precisato che unico legittimato a proporre ricorso contro il diniego del visto è lo straniero interessato.
Più precisamente, il Tribunale amministrativo regionale ha sancito il principio secondo il quale i principi fondanti un ricorso al TAR sono:
– titolarità in capo al ricorrente di una posizione giuridica configurabile come interesse legittimo;
– legittimazione attiva (o passiva) di chi agisce (o resiste) in giudizio, in quanto titolare del rapporto controverso dal lato attivo (o passivo);
– interesse ad agire.
A conforto di quanto addotto, il Tar Lazio ha così testualmente motivato: “dal momento che la funzione tipica del visto è quella di consentire allo straniero l’ingresso nel territorio nazionale, altrimenti precluso, deve ritenersi che, in assenza di un diverso assetto normativo, solo lo straniero richiedente il visto sia abilitato a reagire avverso la determinazione che, per l’appunto, gli impedisca di entrare in Italia”.
DINIEGO DEL VISTO PER RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE – RICORSO AL TRIBUNALE ORDINARIO
Trattandosi della tutela di diritti soggettivi che investono l’unità familiare degli stranieri, in caso di diniego del visto per ricongiungimento familiare la giurisdizione competente non è quella del TAR, bensì quella del Giudice Ordinario del luogo dove il richiedente ha la sua abituale dimora.
L’opposizione è regolata dall’art. 20, D.Lgs. 150/2011: tali controversie sono regolate dal rito sommario di cognizione di cui agli artt. 702-bis e ss. c.p.c.
Gli atti del procedimento sono esenti da imposta di bollo e di registro e da ogni altra tassa. (Art. 20, comma 4, d.lgs. 150/2011).